Osservare Alex Zanardi mentre fa sport è come guardare Carlo Cracco che cucina un piatto di spaghetti al pomodoro e basilico. Tu sei lì che osservi, studi, analizzi. E pensi Beh, tutto qui? Tutto così facile? Far bene le cose facili o far sembrare semplice qualcosa di complesso. Sta tutto lì dentro il segreto di ogni mestiere. Quel piatto di pasta così banale, anche se poi
su quel banale si potrebbero aprire dibattiti, Cracco lo avrà cucinato
migliaia di volte prima di poterlo presentare perfetto e
buonissimo nella sua semplicità. Zanardi è un piatto semplice cucinato da Cracco. Zanardi ci fa sembrare facile il difficile, trasformando emozioni
semplici in momenti indimenticabili. Tutto qui. Si fa per dire, ovviamente.
La storia di Zanardi, sportiva e umana, la conosciamo tutti.
E c’è davvero poco da aggiungere. Ce l’ha raccontata lui stesso
in più occasioni, in maniera impeccabile, intima e toccante.
Quello che leggerete nelle prossime pagine non intende essere
quindi un ennesimo racconto della vita incredibile di un
uomo che non smette di stupirci e di stupirsi.
Quello che segue è un tentativo di spiegare perché Zanardi è
col tempo diventato qualcosa di più di un atleta. Ma un simbolo.
Una cosa bella. Un momento di poetica attrazione verso la vita.
In “Federer come esperienza religiosa”, David Foster Wallace
parlando del tennista svizzero scriveva così:
«Quasi tutti gli amanti del tennis che seguono il circuito
maschile in televisione hanno avuto, negli ultimi anni, quello
che si potrebbero definire “Momento Federer”. Certe volte,
guardando il giovane svizzero giocare, spalanchi la bocca,
strabuzzi gli occhi e ti lasci sfuggire versi che spingono tua”
moglie ad accorrere da un’altra stanza per controllare se stai
bene. I Momenti sono tanto più intensi se un minimo di esperienza
diretta del gioco ti permette di comprendere l’impossibilità
di quello che gli hai appena visto fare».
Zanardi non è un’esperienza religiosa, come il Federer di
Wallace. Piuttosto lui è pragmatismo e visione. È mani sporche
e cervello in costante movimento verso la creazione di qualcosa
di nuovo. Nuovi meccanismi per far andare più veloce una
handbike o un’automobile, ad esempio.
Però Zanardi, come Federer per l’autore americano, ci fa
spalancare la bocca e strabuzzare gli occhi. Ci fa vivere quello
che possiamo chiamare, attingendo a piene mani dalla retorica
di D.F.W., un Momento Zanardi.
Esiste un momento in cui tutto sembra complesso, difficile e
troppo macchinoso e poi esiste un momento successivo in cui
quel tutto diventa fattibile, affrontabile, possibile. Vi è mai capitato?
Avete presente? Beh, congratulazioni, anche voi avete
avuto il vostro Momento Zanardi.
Un Momento Zanardi prevede: uno, la voglia di fare e due, il
gesto – più reale che metaforico – del rimboccarsi le maniche.
Ci si sporcherà molte volte durante la sua costruzione, ma ne
varrà la pena perché quello che rimarrà alla fine del viaggio
sarà una cassetta degli attrezzi da tirare fuori per vivere meglio
la nostra vita. Un dispensatore di strumenti giusti al momento
giusto. Da usare a proprio piacimento e senza chiedere
permessi. Un po’ come dire: in caso di necessità rompere il vetro
e vivere un Momento Zanardi.
Zanardi si merita la definizione di un suo “Momento” perché
è riuscito a restare a galla in un periodo estremamente difficile
per lui e per tutti noi. È riuscito a trovare una ragione per
non seguire quel canovaccio d’attualità tragicamente banale a
cui lentamente tutti ci stavamo assuefacendo, quando ha avuto
l’incidente, e ci ha donato – in mezzo a un mucchio di macerie
– la speranza che, in fondo, tutti possiamo cambiare il nostro
destino, se lo vogliamo.
[…]
Il 2001 è stato – per tutti quelli che lo hanno potuto vivere con una certa consapevolezza – un anno incredibilmente forte e duro. Violento e spietato. Una cicatrice lunga quasi dodici mesi senza la quale oggi saremmo tutti molto diversi.
Fate un esperimento.
Provate a pensare alle vostre vite prima del 2001 e dopo il
2001. O ancora. Provate a pensare alle vostre vite senza il 2001.
Sarebbe tutto uguale? La risposta è ovviamente negativa. Sarebbe
tutto diverso.
Poi è arrivato il Momento Zanardi. L’attimo del suo incidente
e tutto quello che è successo dopo. Sarebbe stato facile morire.
Seguire il copione degli eventi terribili in diretta tv che si stava
consumando quell’anno.
E invece no.
È successo altro.
È successo che Zanardi ha deciso di mettersi di traverso con
la morte, così come la sua auto si era messa di traverso sulla
pista. Zanardi ha deciso di sopravvivere.
Esattamente tre mesi dopo l’incidente è a Bologna, alla premiazione
dei Caschi d’oro conferiti dalla rivista Autosprint ai
migliori attori del mondo dei motori. È sulla sedia a rotelle e
si alza in piedi sulle protesi per salutare e ringraziare. Ci sono
circa quattrocento persone in sala in quel momento. Loro ancora
non lo sanno, ma stanno assistendo al primo Momento Zanardi.
Probabilmente Alex in quel momento non ha ancora chiaro
quello che gli riserverà il futuro, ma è sicuramente consapevole
che da quel momento ci saranno momenti difficili e momenti di
impareggiabile bellezza. Per lui e per le persone al suo fianco.
Due anni dopo l’incidente tornerà sul Lausitzring per completare la gara.
Terminerà i tredici giri che quel 15 settembre il destino gli
tolse. Quel giorno di settembre se tutto fosse andato secondo i
programmi avrebbe vinto la gara. Sarebbe diventato un grande,
forse il più grande, pilota di Cart.
Qualcosa però quel giorno andò storto e allora Alex Zanardi
decise di rimboccarsi le maniche e di diventare leggenda.
© Tratto dal capitolo “Momento Zanardi. O di come cambiare l’approccio alla vita, nell’anno che cambiò il mondo” contenuto in Vittorie imperfette.
Licensa foto: Creative Commons (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Alex_Zanardi_at_Laguna_Seca.JPG)