Recensione di Ernesto Perrone
Io credo che questo romanzo, attraverso il filo conduttore della storia d’amore tra Myriam ed Alexander descritta peraltro mediante una prosa dalla evidente ed apprezzabile scorrevolezza stilistica, in fondo si interroga e ci interroga su alcuni temi veramente fondamentali e cruciali per la nostra esistenza: amore e morte, amicizia e odio, aspirazione ad una autenticità di vita e ostacoli di ogni genere che si frappongono a questa prospettiva.
Lo sfondo, senza voler anticipare, o, come si dice oggi con un anglicismo per me insopportabile, spoilerare la trama che lascio scoprire alla vostra personale lettura, è quello di una normale e serena famiglia ebrea romana che vive la sua tranquilla ed ordinaria vita borghese che però a un certo punto viene squassata da un evento storico assurdo e molto più grande di essa: le leggi razziali del 1938 con tutto ciò che ne è conseguito: esclusione dal consorzio civile che colpirà tutti gli ebrei italiani, soprusi, inganni, violenze, delazioni, retate fino all’esperienza tragica del lager, l’inferno come più volte si ritrovano a definirlo i due protagonisti del romanzo in un dialogo non privo di puntualizzazioni nervose e ripicche, l’inferno dove si sperimentano abiezioni di ogni genere ma pure valori esistenziali invincibili; è il male gratuito per eccellenza e ingiustificabile sotto ogni forma, organizzato però con cieca e ordinata lucidità e soprattutto con efficienza scientifica finalizzata a tutti costi a realizzare lo sterminio di massa di tutti quelli che non rientravano nella follia dell’ideologia nazista e della cosiddetta supremazia ariana; insomma quella banalità del male di cui ha parlato efficacemente Hannah Arendt in un suo famoso saggio scritto in occasione del processo ad Adolf Eichmann celebrato a Gerusalemme nel 1961 e conclusosi con la condanna a morte dell’aguzzino tedesco, prototipo di quello che si può definire un impiegato dell’orrore che diceva sempre sì agli ordini dei superiori come lui stesso in qualche modo ha ammesso davanti ai giudici.
E di questo quadro così variegato e drammatico lo sbocciare progressivo, e non esente da schermaglie e diffidenza, dell’amore tra Myriam e Alexander rappresenta senza dubbio la cornice portante che però ci conduce con una serie di fili narrativi innervati in esso su altri aspetti altrettanto importanti e decisivi dell’esistenza umana. Quello che voglio dire è che questo bel romanzo, scorrevole nella sua scrittura piana e ben articolata, non nasconde nulla di ciò che la vita può offrire: amore certo, ma anche i lati più bui e nascosti dell’animo umano. Alla fine comunque il lavoro di Alice Pescarollo si chiude su una prospettiva, nonostante tutto, di speranza che è poi, credo, la vera lezione del libro: Omnia vincit amor, per dirla con Virgilio e per ricollegarmi alle varie citazioni in latino presenti nel testo, dove per Amor non intendo solo l’attrazione sentimentale che ognuno di noi conosce e ha vissuto ma quella forza dell’animo insopprimibile profonda capace di superare ogni abiezione e proiettarsi verso i campi fertili della speranza. Devo anche dire, cara Alice, che hai avuto un bel coraggio data la tua giovanissima età a confrontarti, in questo tuo romanzo di esordio, con sentimenti così impegnativi e profondi e in particolare con un contesto storico che maneggi con perizia e padronanza e tutto questo non è da poco e te lo dice uno che da professore di lettere da sempre ha coltivato lo studio della storia e specificamente quello della 2° guerra mondiale.
Ora però, vorrei lasciare la parola all’autrice che è la vera protagonista della serata, non senza sottolineare in conclusione di questo mio breve intervento che la lezione che mi sento di trarre dalla emozionante e anche drammatica vicenda al centro di “ 6957. Germogli sotto la neve” è la seguente: contro il male, quello assoluto dei lager ma anche quello che si concretizza in tutto ciò che ci rema contro nella vita, vale sempre la forza dei sentimenti autentici e soprattutto quello dell’amore che sa sbocciare come un fiore invincibile anche nell’inferno delle brutture umane, anche là dove l’umanità sembra annullata, schiacciata, annichilita. Una lezione, ritengo, che è di grandissima attualità anche nei nostri tempi così ferocemente percorsi dalla falce inarrestabile della violenza e della sopraffazione che sembra bruciare ogni flebile stelo di speranza.