Nell’archetypal branding, l’uomo comune viene spesso associato alla sua fallibilità. Al suo, in un certo senso, non essere perfetto. Lungi da quegli eroi granitici ed indistruttibili che, dalla mitologia ellenica fino alla Marvel dei tempi nostri, hanno costruito il nostro universo immaginifico. Non è del tutto sbagliato. Ma l’uomo comune è, innanzitutto, colui che ha la capacità di entrare in connessione con tutti, che resta umano rinunciando alla velleità di farsi altro, che è capace di far sentire l’appartenenza a una grande comunità. Una comunità italiana, in questo caso. L’uomo comune è semplice, diretto, parla terra terra. L’uomo comune, in ultima analisi, ci somiglia. Ed è proprio nel riconoscersi in quello che è messo in scena, in quel transfert, che avviene la magia. Che ci emozioniamo.
Sabato 9 giugno 1990, stadio Olimpico di Roma. 78’ minuto di Italia-Austria, prima partita del girone del Mondiale ospitato nel nostro Paese. Un uomo comune, assai più minuto dei due difensori da cui è sfuggito per andare a compiere la storia, spezza l’equilibrio con un inusuale colpo di testa (terra terra dirà poi: “Io di testa sono negato, non la prendo quasi mai”) e fa esplodere l’Italia intera. Ma il riconoscimento, il transfert, avviene non in quel momento. Ma in quello dopo. In quella corsa folle, braccia al cielo, occhi rosso fuoco, che il nostro atipico eroe ha corso per tutto il campo. In quel momento, dalla valle d’Aosta alla Sicilia, ognuno esultando a modo suo, tutti quanti eravamo Totò Schillaci. Increduli, vivi, felici.
Di gol ne farà altri 5, chiudendo al primo posto la classifica marcatori di quel Mondiale. Non basteranno a vincere la competizione, chiusa per gli azzurri al terzo posto, ma saranno sufficienti per connettere eternamente Totò Schillaci, archetipo dell’uomo comune, al popolo italiano. L’eroe inaspettato, di cui non sapevamo di avere bisogno. Notti magiche non – solo – di una notte italiana, ma di una vita italiana. Perché Schillaci ha reso il tempo orizzontale ed ancora oggi, rivedendo i suoi gol di quel Mondiale speciale, possiamo riconoscerci in lui. In quel sogno accarezzato, vissuto, consumato come un amore estivo ma ricordato per il resto della vita.
Di Giovanni Manco.