Nessuno come lui riesce a essere amato trasversalmente, senza chiese o tifoserie. Uno scrittore ci spiega di cosa è fatto questo legame fortissimo tra Zanardi e l’Italia
Sono davvero pochi quelli che in Italia riescono a essere come Alex Zanardi, farsi volere bene da tutti, senza appartenere a una chiesa, a una tifoseria, a uno schieramento. C’è una sua frase, l’ha riportata Carlo Verdelli in un articolo sul Corriere della Sera, che spiega quanto ne fosse consapevole, eppure riuscisse a indossare questa santità laica con naturalezza. «Quando correvo vicino ai 400 all’ora sulle piste di tutto il mondo, ero io da solo. Adesso, su quell’handbike, c’è il mio Paese che spinge con me. Sento che la gente mi vuole bene. Anche se in fondo non ho fatto niente di speciale: a un certo momento, ho preso la bicicletta e ho pedalato». Il suo incidente è stato una mazzata collettiva, ogni giorno tante persone che non hanno mai seguito i motori, le corse, gli sport paralimpici, consultano le notizie per sapere come sta Alex, se si riprenderà, come si riprenderà.
Come nasce il legame tra noi e Alex
Federico Vergari è un giornalista e uno scrittore e ben prima dell’incidente sulle colline senesi aveva scritto pagine molto belle su Zanardi, per un libro uscito pochi giorni fa, Vittorie Imperfette, l’antologia delle cadute di alcuni tra gli sportivi più grandi di tutti i tempi: Michael Jordan, Marco Pantani, Usain Bolt. E tra loro c’era Alex Zanardi. Ho chiamato Vergari, per chiedergli di aiutarmi a capire cosa c’è nello smisurato significato che diamo a questo atleta, di cosa è fatto il legame tra Zanardi e l’Italia. Nel suo libro, Vergari parte da David Foster Wallace, che aveva codificato così il momento Federer: «Certe volte, guardando il giovane svizzero giocare, spalanchi la bocca, strabuzzi gli occhi e ti lasci sfuggire versi che spingono tua moglie ad accorrere da un’altra stanza per controllare se stai bene. I Momenti sono tanto più intensi se un minimo di esperienza diretta del gioco ti permette di comprendere l’impossibilità di quello che gli hai appena visto fare».
I Momenti Zanardi
Se Federer di Foster Wallace è un’esperienza religiosa, il momento Zanardi è un valico esistenziale. La vita ti sembra una parete verticale, poniamo che hai perso le gambe in pista, subito sette arresti cardiaci, conservato un solo litro di sangue in corpo e già ricevuto un’estrema unzione, eppure riesci a rimetterti in piedi, a ritrovare una vita perfino più piena e bella della precedente, ecco, quello è un momento Zanardi. È per questo che gli siamo così legati, perché Alex è «un dispensatore di strumenti giusti al momento giusto. Da usare a proprio piacimento e senza chiedere permessi. Un po’ come dire: in caso di necessità rompere il vetro e vivere un Momento Zanardi». Tre mesi dopo l’incidente, ricorda Vergari, era già a Bologna, alla premiazione dei Caschi d’oro conferiti dalla rivista Autosprint ai migliori del mondo dei motori. «È sulla sedia a rotelle e si alza in piedi sulle protesi per salutare e ringraziare. Ci sono circa quattrocento persone in sala in quel momento. Loro ancora non lo sanno, ma stanno assistendo al primo Momento Zanardi».
Gli incantesimi
C’è un’altra questione, a ben vedere fondamentale sia per un pilota di auto da corsa che di handbike: il tempismo. Zanardi non solo ci ha regalato questa cassetta degli attrezzi impensabile e fondamentale, ma lo ha fatto anche in un momento in cui ne avevamo davvero bisogno. Oggi non ce lo ricordiamo, ma il 2001 in cui Alex si spezza e rinasce fu un anno tremendo: l’omicidio di Novi Ligure, il G8 di Genova con la morte di Carlo Giuliani, l’attacco alle Torri Gemelle. Eravamo a corto di innocenza e speranza. «Quattro giorni dopo, quando ancora non si sapeva nemmeno il numero di vittime dell’11 settembre, ecco l’ennesimo dolore in diretta di quell’anno. Il circuito in cui correva Zanardi era americano, ma quella era una delle pochissime gare in Europa, per motivi promozionali. Vuol dire che tanti stavano guardando la corsa, alle tre del pomeriggio, quando c’è stato l’incidente». Con la sua spettacolare (e rapidissima) rinascita, Zanardi riesce a interrompere quel flusso negativo. «Si mette di traverso alla vita proprio come la sua macchina si era messa di traverso sul circuito di Lausitzring». Il Momento Zanardi è incantesimo che ne spezza un altro. Inevitabile pensare che questo nuovo incidente arriva in un altro anno tremendo, il 2020 della pandemia, della crisi economica in arrivo, della paura generalizzata che ha cambiato la vita di tutti. E ci troviamo di nuovo a pensare al corpo e alla forza di Alex.
Un modello di vita involontario
Di Zanardi colpisce anche quanto sia stata duratura la sua «santità», la sua capacità di essere amato da tutti, in un Paese a cui piace tanto veder gli idoli venire giù. «Alla radio ho sentito qualcuno dire che Zanardi è un simpatico cialtrone, in senso positivo», mi spiega Vergari, «C’è qualcosa di vero. Gli piace scherzare, divertirsi, è uno che non si prende mai troppo sul serio, non pensa mai al messaggio che deve lasciare». L’amico Paolo Bianchini dopo l’incidente ha raccontato. «L’ho affiancato con l’auto un minuto prima del botto. Mi ha detto che era l’uomo più felice del mondo perché stava pedalando in un paradiso». È così, Zanardi, il suo punto di equilibrio interno e pubblico è la naturalezza della sua felicità. «Zanardi ha sempre saputo la responsabilità che ha sulle spalle, ma non si è mai visto come ambasciatore di qualcosa, anche se ha sempre saputo di esserlo, in qualche modo». È un modello di vita quasi in modo involontario, preterintenzionale, non ha mai voluto insegnarci qualcosa, nonostante di cose ne avesse imparate una certa quantità, ed è anche per questo che ci è così caro. L’epigrafe del libro di Vergari è «Dopo pioggia viene sole», una delle massime di Vujadin Boskov, perfetta per Zanardi e anche per la nostra speranza che vinca anche questa.